Alpi: il “tema certificazione” come valore di impresa

Oggi parlare di certificazione del legno può perfino apparire banale. Oramai da diversi anni il patrimonio forestale è percepito come un patrimonio irrinunciabile e una risorsa da gestire con oculatezza e rispetto. E la parola d’ordine è una sola: gestione sostenibile. E’ questo il fine, perché “essere dalla parte della natura” non è solo una affermazione di principio, ma un assioma che deve essere alla base dei comportamenti, delle attività delle imprese che sul legno fondano il proprio business. Un rapporto che consenta al patrimonio forestale non solo di essere mantenuto, ma perfino incrementato, grazie a prelievi che – in realtà – servano anche ad attivare una serie di interventi che contribuiscano al suo stato di salute. Un discorso apparentemente semplice, perfino banale, ma che si fonda su decine e decine di regole, di procedure, di comportamenti, di prassi che richiedono conoscenze e investimenti spesso notevoli. Specialmente se parliamo di certificare la “correttezza” della gestione di una concessione forestale; se poi questa foresta è in Africa le cose potrebbero essere ancora più complicate.
Dietro la parola “certificazione”, infatti, si celano contenuti molto diversi: un conto è certificare la “tracciabilità” del legno che si commercializza (solo per fare un esempio) un altro ottenere da enti terzi l’approvazione per tutto ciò che riguarda il lavoro in una concessione forestale. E forse non sarebbe male – sia detto per inciso – se questa diversità, se i tanti contenuti che una certificazione riassume fossero resi più espliciti e comprensibili. Ai consumatori finali, in primis, ma forse anche a molti operatori….

Anche per questo – ne siamo certi – alla Alpi di Modigliana (splendido angolo di Emilia Romagna dove il gruppo industriale ha la sua sede centrale e le sue origini) si è particolarmente soddisfatti della certificazione Olb (Origine et légalité des bois) recentemente ottenuta per i siti forestali di cui il noto gruppo italiano dispone in Cameroun, Paese nel quale ricava il 90 per cento del legno africano che successivamente commercializza o impiega nei propri processi produttivi. Un risultato che corona uno sforzo lungo oltre trent’anni….

“…. a metà degli anni Ottanta – ci dice l’amministratore delegato del gruppo, Vittorio Alpi – decidemmo di fare un passo molto grande per degli industriali del legno quali eravamo. Comprendemmo quanto fosse strategico poter avere un maggior controllo sugli approvvigionamenti di materia prima ed iniziammo ad impegnarci direttamente nella gestione forestale. Prese allora forma quello che oggi è il Gruppo Alpicam, che riunisce tutte le nostre imprese che operano in Africa. Immediatamente capimmo quanto fosse importante adottare certi comportamenti in foresta. Forse il fatto di essere dei forestali “atipici”, di essere gente che lavorava il legno e, dunque, ne conosceva il valore, ci ha permesso di affrontare questa immensa sfida con qualche attenzione in più per l’ecosistema forestale nel suo complesso e per le popolazioni locali che iniziammo a coinvolgere nei nostri cantieri.
Devo dire che con il crescere della nostra esperienza cresceva anche la netta percezione che nel mondo molte cose stavano cambiando e che, finalmente, si guardava alla natura non solo come un luogo da cui prendere, ma come un patrimonio con il quale stabilire un rapporto corretto, così da rendere la foresta capace di rinnovarsi. Le nostre conoscenze, quanto avevamo imparato non ci era più sufficiente e stabilimmo, in tempi assolutamente “non sospetti”, i primi contatti con il Wwf. Sentivamo il bisogno di approfondire, di confrontarci, di verificare se le nostre procedure avessero quel valore che noi ritenevamo indispensabile
”.

In questa nostra volontà di fare chiarezza – aggiunge Sergio Nicoli, direttore commerciale Les – ebbe certamente un ruolo la crescente preoccupazione della opinione pubblica, stimoli che cominciavano a circolare anche nel mondo del commercio del legno. Anche questo ci fece capire che non potevamo più affidarci alla nostra buona volontà, ma che dovevamo cercare degli schemi. In quegli anni non esistevano nemmeno chiari strumenti legislativi: solo nel 1996, per fare un esempio, il Cameroun promulgò una legge in materia che sarebbe entrata in vigore solo quattro anni dopo, nel 2000. Solo in tempi decisamente recenti, dunque, ci siamo trovati di fronte alla precisa definizione da parte di una autorità di cosa si intendesse per “gestione sostenibile”. Uno strumento fondamentale, che ci permise di affermare la nostra esperienza e di aggiudicarci nuove concessioni: ciò che prima facevamo seguendo la nostra coscienza era diventato, in fondo, un “plus” che ci permetteva di crescere come industria del legno”.

Operare su questi temi in una terra come l’Africa non deve essere stato facile…

Assolutamente no”, precisa Vittorio Alpi. “Basti pensare che questa legge fu fortemente “motivata” dalla Banca mondiale, che suggerì caldamente al governo africano di adottare uno strumento per una corretta gestione del proprio patrimonio forestale. I parametri adottati furono costruiti sulla base di uno studio di ricercatori canadesi compiuti in Congo e successivamente adattati alla realtà del Cameroun. E’ in questo che si colloca l’autentico valore delle certificazioni che oggi tutti conosciamo, nel fatto che esista un ente – sciolto dalle imprese e dai governi – che in base a principi internazionalmente riconosciuti vigili sulla validità delle procedure di una impresa forestale. E’ stato una sorta di passaggio epocale, indispensabile in tema di “legalità” del legno che viene prelevato dalla foresta e commercializzato”.

Possiamo dire che la convergenza fra la nostra filosofia e la crescente sensibilità dei mercati hanno reso sempre più pressante confrontarci con il tema della certificazione”, precisa Luciano Pradal, direttore Gruppo Alpicam. “Ci siamo messi in discussione, abbiamo subito compreso che si sarebbe trattato di un percorso lungo e talvolta confuso, perché si tratta di una materia nuova, in rapida e profonda evoluzione. Alpi ha scelto di porre delle radici profonde al proprio lavoro in Africa, partendo con l’affermare – come la certificazione Olb ci consente di fare – che operiamo secondo criteri assoluti di legalità, il che significa la “tracciabilità” di ogni elemento o tavola di legno, dalla foresta all’utilizzatore finale. Un primo passo verso altre forme di certificazione, altrettanto valide ma certamente più note al grande pubblico e agli operatori”.

Quanto ha pesato la presa di coscienza dei consumatori finali in questo processo?

Molto!”, risponde Sergio Nicoli. “Da loro il messaggio e passato a chi lavora il legno e da questi al commercio e alla distribuzione che ci ha stimolato a mettere nero su bianco, grazie a una certificazione, tutte quelle regole che da sempre abbiamo osservato.
Avvicinandoci alla tappa della certificazione Olb ci siamo resi progressivamente conto che non avevamo sbagliato, solo per fare un esempio, a organizzare molti anni prima corsi per i nostri operatori in foresta, così che il loro lavoro avesse il minor impatto possibile sull’ambiente circostante. E lo stesso dicasi per ogni attività svolta nei nostri impianti in Africa, peraltro direttive che si dimostravano efficaci ed estremamente positive anche da un punto di vista della gestione economica delle nostre società, con evidenti vantaggi in termini di resa e qualità del materiale
”.

Sugli aspetti sociali e più genericamente “ambientali” – interviene Vittori Alpi – avevamo bisogno di affinare, di inquadrare il nostro lavoro. Abbiamo sempre collaborato molto fattivamente con le popolazioni indigene, intervenendo per migliorare costantemente la qualità della loro vita con pozzi, strade, scuole, ambulatori medici e molto altro… ma avevamo bisogno di rendere questo più “ufficiale”, se mi passa la definizione. Diventare membri del Tropical forest trust ci ha permesso di poter disporre di competenze antropologiche e in ambito sociale che non avevamo approfondito ancora, oltre a garantirci un ombrello comunicativo e di rapporti con il mondo ambientalista e le tante organizzazioni non governative che operano in Africa. Un contributo importante per codificare e per far conoscere la nostra esperienza, rendendola trasparente”.

Ingresso nel Tft, cerificazione Olb: intendete, come avete già accennato, puntare anche su alte certificazioni?

Siamo su una piattaforma dinamica”, chiarisce Luciano Pradal. “i principi e criteri indicatori delle varie certificazioni tendono ad evolvere nel tempo e normalmente nel senso di un sempre maggior impegno e difficoltà applicativa. Bisognerebbe sempre tenere in considerazione che operare in ambiente tropicale è estremamente difficile e che l’asticella non può essere posta ad altezze progressivamente più elevate fino ad impedirne il superamento”.

Le imprese forestali – interviene Vittorio Alpi – sono consapevoli degli obblighi a cui devono sottostare, ma questi obblighi devono essere ragionevoli, tener conto che una impresa deve rimanere nell’ambito della redditività. E’ indispensabile, ad esempio, considerare le peculiarità delle diverse aree geografiche: ciò che vale in Africa non può valere negli Stati Uniti. Tutto questo per dirle che guardiamo con grande ambizione alla certificazione Fsc, ma con la circospezione di imprenditori che non possono certo confrontarsi con requisiti che siano mutevoli, dinamici… forse anche non applicabili nel contesto della foresta africana”.

Certificazioni che, non dimentichiamolo, oggi rappresentano un plus anche a livello commerciale…

Direi di più: fino a qualche anno fa – aggiunge Nicoli – il legno certificato permetteva di spuntare quotazioni migliori, oggi se non è certificato non si vende. La certificazione Olb è preziosa, per quanto meno nota, e ciò che impone permette di essere abbondantemente al di sopra degli standard imposti dalle normative in materia di origine legale del legno, normative che anche l’Europa si appresta ad adottare”.

Qual è stato il passaggio più difficile da superare per ottenere il marchio Olb?

L’Africa è una terra splendida, paradiso di contraddizioni – puntualizza Pradal. “Ma è un contesto difficile dove, ad esempio, non è facile convincere gli operatori a portare il casco protettivo o gli scarponi antinfortunistica… C’è una imprescindibile dimensione etica e sociale che, negli ultimi tempi, è cresciuta ulteriormente, perché la certificazione Olb ci ha imposto un grosso sforzo organizzativo e gestionale, Abbiamo creato uno staff ad hoc per la gestione di queste problematiche: sociologi, antropologi, cartografi… una quindicina di persone dedicate alla definizione di un approccio scientifico anche su questo versante”.
 

Alpi: il “tema certificazione” come valore di impresa ultima modifica: 2009-10-13T00:00:00+00:00 da admin