Abbiamo avuto il piacere, complice l’approssimarsi di Ligna, di incontrare Giancarlo Selci, fondatore di Biesse e uno dei pochi “uomini delle macchine da legno” che non ha proprio bisogno di alcuna presentazione…
… ed evidentemente abbiamo parlato di molto, se non di tutto, ma quasi per niente di Ligna. Anzi no, perché proprio dietro molte delle cose che il signor Giancarlo Selci ci ha detto e raccontato ci sono, in realtà, le macchine, le tecnologie, le scelte che animeranno la presenza di Biesse a Ligna 2015.
Sul tavolo, per rompere il ghiaccio, la pagina 200 del catalogo della prima edizione di Interbimall, nel lontano 1968. Selci guarda le immagini della “Dani 1” e della “Dani 2”, fresatrici automatiche con cui si lavoravano le ante degli armadi. E ci spiega come funzionavano. In fondo fu il primo vero successo della Costruzioni meccaniche Giancarlo Selci, sede in via Montenevoso a Pesaro. L’occhio cade sulla fotocopia del suo libretto di lavoro, alla data di nascita, il 2 gennaio 1936, a quel “Figlio di Antonio e di Gigina Renzi”… il rischio di abbandonarsi all’onda dei ricordi, di parlare del suo ingresso in Benelli come tornitore a 15 anni compiuti da dieci giorni, di mettersi in proprio qualche anno dopo, di creare la Biesse è dietro l’angolo: poi ci toccherebbe scrivere un libro e non è questa l’occasione.
Anche perché Selci ha lasciato una riunione a metà per incontrarci e ci fa capire che vorrebbe tornare a quel tavolo appena possibile, “… perché ci sono un po’ di cose da sistemare”. E allora accendiamo il registratore. Si parte.
Signor Selci, l’anno prossimo compirà ottant’anni…
“… e ho ancora tante cose da fare”, ci risponde un poco sorpreso. “Sono fatto così, è nella mia indole andare avanti, fare… Oggi è più dura perché, fortunatamente, Biesse è molto più grande di un tempo: gli uffici tecnici sono tanti e per uno come me, a cui piace vedere i progetti, andare in officina, vivere la fabbrica è indubbiamente più impegnativo. Specialmente quando gli anni aumentano!!!!
Sono innamorato della mia azienda, forse ancora di più negli ultimi, difficili anni. Quando, a suo tempo, ho deciso di rimettermi in gioco pensavo solo alla Biesse, alle tremila famiglie che ci vivono. Allora ho voluto tornare a dare una mano, a fare quello che potevo con la mia esperienza. Mi sono preso la responsabilità di riprendere il timone, pur sapendo che sarebbe stata una lotta dura… Ha funzionato. Abbiamo lavorato bene e siamo probabilmente stati i primi a vedere un cambio di rotta, a capire che eravamo sulla strada giusta… ma in fondo era prevedibile…”.
Prevedibile? In che senso?
“Perché c’erano le basi, perché abbiamo continuato a investire anche in quegli anni. Avevamo gli strumenti e li abbiamo usati bene. Sembra banale, ma è proprio nei momenti duri che bisogna usare la testa, essere estremamente attenti, guardare oltre la punta del proprio naso, evitando di fare ciò che nuoce, lavorando per migliorare le cose, non per peggiorarle. Ogni giorno avevamo, come abbiamo oggi, molte scelte da fare, spesso dolorose, e ogni giorno abbiamo dovuto scegliere cosa era giusto fare, cosa evitare.
Un dovere per chi gestisce una azienda. Un imprenditore deve saper interpretare i segnali, comprendere che non era certo possibile continuare a produrre come se non stesse succedendo niente. Invece molti hanno scelto di continuare a riempire i magazzini, certi che tutto sarebbe rapidamente tornato alla normalità. Anni, lo ripeto, di scelte difficili: tagliare la produzione, decidere di avviare la cassa integrazione, non guardare al fatturato ma a ciò che si vende, non a quello che si lascia parcheggiato da qualche parte… alla fine del 2007 Biesse chiuse un bilancio estremamente positivo, con un utile non indifferente, ma avevamo già visto una certa riduzione degli ordini e capimmo che nel 2008 avremmo dovuto rallentare i lanci di produzione, fare un budget più pessimistico, pronti a costruire tutto quello che ci veniva ordinato, senza andare oltre… e poi le cose sono andate come tutti sanno…”.
… sempre pensando in termini di innovazione….
“… perché l’innovazione è il più alto valore che una impresa può e deve esprimere!”, risponde Selci con forza. “Le buone idee funzionano sempre; un buon prodotto si vende da solo: quasi non serve il commerciale, il marketing. Nel 1980 feci una macchina. Si chiamava “Techno”, una foratrice da linea che presentammo alla Interbimall di quell’anno. In cinque giorni creai la rete commerciale per l’Europa, perché venivano tutti a chiedermi di poterla vendere! Fu una cosa grossa, veramente grossa, e vendemmo molte macchine già in fiera, perché ogni rivenditore ne voleva una o due da mettere subito in esposizione! Nel giro di tre mesi arrivammo a produrne una cinquantina al mese e ancora ne vendiamo un centinaio all’anno. E stiamo parlando di una macchina inventata nel 1980, trentacinque anni fa!”.
Signor Selci, quali sono state le idee migliori, le invenzioni che le piace ricordare?
“Sono state tante, fortunatamente, e forse – oggi lo ammetto – non sono stato capace di sfruttarle come avrei dovuto. Le racconto il perché. All’inizio della storia di Biesse gli elettromandrini si facevano solo in ghisa, lavorati al tornio, pesanti… a un certo punto mi venne in mente di costruirli partendo da un estruso di alluminio; lo si tagliava in lunghezza, si fresava lo spazio per lo statore, qualche foro e poco altro… senza contare la leggerezza. Non l’ho brevettato, purtroppo. Lo stesso errore lo commisi quando, sempre per primo, ho pensato di usare lo stesso procedimento di estrusione per i piani delle macchine. Anche in quel caso non mi è venuto in mente di proteggermi con un brevetto. E ancora: fui io a inventare la testa a mandrini indipendenti, sempre senza fare alcun brevetto. Siamo stati i primi a montare le cremagliere invece delle viti a ricircolo di sfere… idee di cui in quel momento sottovalutai la portata, anche perché ce ne venivano talmente tante… ora si brevettano anche i fogli di carta e per ogni cosa nuova sono necessarie settimane spese per capire cosa si può fare e cosa bisogna evitare. Pare quasi che oggi l’innovazione la possano fare solo gli avvocati, gli specialisti che popolano gli Uffici brevetti!”.
Negli ultimi anni, invece, pare che di invenzioni se ne vedano sempre meno, spesso proposte da costruttori di altri Paesi. Non ha la sensazione che le nuove generazioni siano meno capaci di inventare?
“In altri Paesi ci sono eccellenti centri di formazione che da noi non esistono, prestigiose università estremamente attente alla meccanica, al legno. Viviamo in un Paese che non offre molto alle imprese, anzi… Fatichiamo a fare investimenti, ad avere le autorizzazioni per costruire un nuovo capannone e assumere qualche ingegnere ha un costo sempre più elevato: lei non sa quanto vorremmo poterne arruolare altri dove facciamo ricerca e sviluppo…
Forse la prima generazione sfoderava qualche colpo di genio in più, ma erano altri tempi, c’erano altri presupposti. Oggi siamo concentrati sulla finanza e non possiamo dedicarci solo al pensare a nuove soluzioni, a fare prototipi, a montarli e smontarli fino a che non si trova la soluzione più intelligente”.
E la passione si raffredda?
“Mai! Se non ci fosse ancora, intatta, rimarrei a letto a dormire ogni mattina! Certo, il passare degli anni spegne qualche emozione, ma fortunatamente io ho sempre tanta voglia di fare e nessuno può portarmi via il mio entusiasmo. Anche se non è questo che manca: oggi, lo ribadisco, ci misuriamo con strutture molto più complesse, che impongono organizzazioni efficaci ed efficienti. Le persone, però, devono parlare di più, comunicare fra loro direttamente, essere più curiose di cosa fa il collega dell’altro ufficio, andare a vedere di persona, chiedere, informarsi, condividere. Non possiamo limitarci a mandare delle email. Bisogna comunicare…
Pensandoci bene non è facile mantenere intatta la propria passione in un Paese dove ogni giorno chiudono centinaia e centinaia di imprese. Qualcosa non funziona, qualcosa ci impedisce di andare avanti. E se non possiamo certo appendere il cappello al chiodo non possiamo nemmeno lavorare come pazzi con il rischio di fallire perché la pubblica amministrazione avanza pretese a dir poco eccessive…”.
Era più facile in via Montenevoso?
“C’era l’entusiasmo di un mondo che andava avanti a grande velocità. Oggi andiamo avanti o indietro? Dobbiamo fare i conti con la globalizzazione, certamente un problema per le piccole aziende che sono sempre state il cuore del “made in Italy” e che ora devono ragionare, strutturarsi in modo diverso. Ma non tutti ne sono capaci o hanno questa indole. Non possiamo nasconderci che molti prodotti splendidi sono oramai introvabili, scomparsi; un certo “saper fare” non esiste più o si è trasformato in arte riservata a pochi, che pochi potranno permettersi.
Non voglio essere frainteso: le alte tecnologie hanno portato grandi benefici, regalano a tutti la possibilità di avere di più, ma oggi il successo dei grandi numeri arride a chi riesce a fare 300 cucine al giorno tutte uguali e divora il mercato. Stiamo forse perdendo una certa bellezza”.
E Biesse? Quali strade seguirete in futuro?
“Faremo sempre il nostro mestiere e sempre meglio. Lavoreremo con ancora maggiore intensità sui grandi impianti per grandi produttività, se vuole sulla strada proprio della globalizzazione di cui parlavamo prima. Ma stiamo facendo sì che i centri di lavoro siano strumenti in grado di dare agli artigiani la possibilità di creare bellezza con maggiore facilità, di poter fare di più e meglio.
Vogliamo essere presenti in modo sempre più forte nei mercati di tutto iI mondo con la stessa capacità di fare innovazione, come negli ultimi anni con il software, arrivando a fare in modo che chiunque possa gestire le nostre macchine con grande semplicità. Arrivo a dirle che oggi vendiamo una Biesse non solo perché è una bella macchina, ma perché ha una interfaccia con cui si programma e la si usa ogni giorno molto più facilmente”.
E cosa manca ancora da fare in Biesse?
“Le rispondo dicendole cosa piacerebbe tanto poter fare a me, personalmente: ricominciare da capo! Avere 50 ettari e costruire una grande fabbrica ancora più intelligente, completamente nuova, dove ogni passaggio è il migliore possibile. Perché oggi è la logistica ad avere un costo elevatissimo, le inefficienze, il dover fare i conti con stabilimenti aggiunti l’uno all’altro, a mano a mano che c’era la necessità di nuovo spazio. Mi piacerebbe davvero cominciare tutto da capo… produrremmo con la stessa qualità ma con costi più contenuti: da una parte tutte le lavorazioni meccaniche, dall’altra il montaggio; navette che collegano ogni reparto secondo una logica di produzione meditata, in linea con l’approccio “lean production” che abbiamo intrapreso parecchi anni fa, che ci ha permesso di ridurre gli sprechi per produrre di piùe meglio.
E poi poter parlare solo di ricerca, di innovazione, magari con una dozzina di nuovi ingegneri assunti per dare vita alle tante idee che abbiamo per la testa…”.
Signor Selci, ma come? Vuole ricominciare la storia?
“Il nostro mestiere è aiutare chi sceglie Biesse a pensare al futuro. Noi dobbiamo fare lo stesso. Ancora prima di loro. Abbiamo fatto molto, ma molto abbiamo ancora da fare…”
… e cosa ci fa qui, in ufficio?
“E’ la mia vita. Biesse è la mia casa. Ho una piccola barca, una casa in collina dove mi piace fare un pò di orto, qualche pomodoro… ma alla sera esco da qui alle sette: il tempo è poco. Un po’ di televisione e poi vado a letto pensando alle tante cose che mi aspettano qui la mattina dopo….”
Fa bene, signor Selci. Ci pare sia un po’ tardi per cambiare queste buone abitudini. E per che cosa, poi? Grazie del suo tempo e alla prossima!
A cura di Luca Rossetti
Incontro con Giancarlo Selci, fondatore di Biesse
ultima modifica: 2015-04-30T00:00:00+00:00
da