L’economia del design

Nell’ultimo scorcio del 2020 è stato pubblicato un altro studio di grande interesse anche per il mondo delle tecnologie per il legno e il mobile: stiamo parlando del report “Design Economy 2020”.

Un documento dal quale emerge quanto il mondo del design non sia solo estetica e risposta alla necessità di rendere migliore ogni aspetto del vivere, ma esprima precisi e rilevanti valori economici. È la prima osservazione che emerge leggendo il “Design Economy 2020” realizzato da Fondazione Symbola, Deloitte Private e Poli.design, da quest’anno con il supporto di Adi, Cuid e Comieco e con il Patrocinio del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.

Anche noi “più a monte” parliamo molto spesso di quanto attrezzature e tecnologie possano contribuire al valore estetico e funzionale di un prodotto, come possano contribuire alla realizzazione di forme e soluzioni nuove, per cui riteniamo possa essere interessante scoprire cosa sottende al mondo del design, non solo nell’arredo, in termini di business, di competitività, di accesso a percorsi formativi dedicati…

“Il settore del design in Europa conta un numero di imprese pari a circa 217mila unità”, ci dice il rapporto. “L’Italia, con quasi 34mila mila imprese, rappresenta circa il 15,5 per cento dell’intero sistema del design comunitario, collocandosi saldamente al primo posto per numero di imprese, davanti a Germania e Francia. Il primato del nostro Paese, che offre impiego a 64.551 lavoratori con un valore aggiunto superiore a tre miliardi di euro, è in parte attribuibile al forte legame tra design e “made in Italy”, ma è caratterizzato anche da una eccessiva frammentazione della struttura imprenditoriale nazionale. Quest’ultimo fattore spiega come mai, nonostante un primato in termini di numero di aziende, Germania e Regno Unito registrino un livello di occupazione e un volume d’affari superiori a quelli italiani. Infatti, il complesso dei Paesi Ue registra un volume di vendite pari a 27,5 miliardi di euro, e l’Italia ne alimenta da sola il 14,8% per cento, in terza posizione dietro al Regno Unito (24,5 per cento) e alla Germania (16,4 per cento), ma largamente davanti a Francia (9,2 per cento) e Spagna (4,6 per cento). I settori industriali italiani che fanno maggiore ricorso al design sono: legno arredo, abbigliamento e automotive”.

Come sempre la dimensione aziendale è un elemento di grande importanza: in Italia il divario tra microimprese e grandi aziende è profondo. Liberi professionisti e microimprese (meno di 100mila euro di fatturato) incidono ancora per oltre la metà dell’occupazione (53,4 per cento), mentre le imprese con fatturato superiore a 5 milioni di euro hanno un’incidenza occupazionale dell’8,4 per cento. Nel nostro Paese, pertanto, la maggior parte delle imprese si collocano nei segmenti piccola e micro impresa.

I risultati del report Fondazione Symbola, Deloitte Private e Poli.design confermano un forte legame territoriale tra design e le filiere del “made in Italy”, con forti ricadute in termini di competitività, innovazione e cultura d’impresa. Le Marche sono la regione italiana con i massimi i livelli di specializzazione del design nelle filiere dell’arredamento e della calzatura. Seguono Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Veneto, in cui sono presenti moltissime aziende del design legate al fashion, alla meccanica, fino alla ceramica e al mobile. In generale, la distribuzione delle imprese appare concentrata a favore dei sistemi metropolitani: Milano da sola assorbe una quota di imprese pari al 14,5 per cento del totale nazionale, mentre Roma è la seconda provincia in graduatoria (6,5 per cento per cento); segue Torino, terza, con una quota del 5,2 per cento. Le prime quattro province metropolitane in graduatoria aggregano circa il 36 per cento della ricchezza prodotta dal design in Italia, attirando la maggior parte delle imprese e dei professionisti del design.
La principale capitale del design italiano è Milano: il capoluogo lombardo è capace di concentrare il 18,3 per cento dell’output totale del settore sul territorio nazionale, mentre Torino e Roma, rispettivamente seconda e terza, incidono per l’8 e il 5,3 per cento. Sul fronte occupazione Milano conta circa il 14 per cento del totale degli addetti. In seconda posizione figura Torino, che nel 2014 ha ricevuto dall’Unesco la nomina di Città creativa Unesco per il Design.

L’IMPATTO DEL “COVID-19”

Il report racconta anche quanto è emerso da una serie di interviste sulle conseguenze dell’emergenza sanitaria sulla operatività dei designer. Il 45 per cento dei liberi professionisti ha dichiarato di non aver mai interrotto la propria attività, in quanto fortemente organizzata attorno alle tecnologie digitali. Quasi tutti hanno però riscontrato difficoltà economiche legate a una diminuzione della domanda (68,2 per cento) e problemi di liquidità (48,3 per cento). L’emergenza “Covid-19” ha avuto un impatto sui volumi di fatturato per il 39,7% per cento dei progettisti, con il 23,8 per cento delle risposte da cui si rivela un calo superiore alla metà dei ricavi allo stesso periodo dell’anno precedente. La disruption causata dalla diffusione del “Covid-19” può però tradursi in opportunità: le stringenti norme di distanziamento sociale e i limiti alla mobilità per contenere il rischio contagio, potrebbero indurre alla riprogettazione di spazi pubblici e privati in numerosi ambiti: ristorazione (16,6 per cento), pubblica amministrazione (11,9 per cento), home working (7,3 per cento) e sanità (6 per cento).

DESIGN E SOSTENIBILITÀ: UN MOTORE PER LA CRESCITA

Da un’indagine a campione realizzata da Fondazione Symbola e Unioncamere su circa tremila imprese manifatturiere emerge una stretta correlazione tra investimenti in design e crescita lungo tre direttrici: fatturato, addetti, export. Il ruolo del design come motore della competitività appare ancor più marcato in presenza di un’attenzione aziendale alla sostenibilità ambientale: le imprese green e design oriented mostrano differenziali di performance significativi rispetto alle altre aziende. Il vantaggio a favore delle aziende che investono simultaneamente in tecnologie green e design, rispetto al resto del campione, raggiunge i 22,6 punti percentuali in termini di addetti (38,6 per cento contro 16 per cento), 25,1 punti in termini di fatturato (48 contro 22,9 per cento) e 13,5 punti in relazione alle esportazioni (38,6 contro 25,1 per cento).

LA FORMAZIONE

Pur con molte differenze e caratterizzazioni, il sistema formativo italiano del design è un’eccellenza che conta ben 18 università, 15 Accademie delle belle arti, 15 Accademie Legalmente Riconosciute, e 11 Istituti privati autorizzati, per un totale di 242 corsi di studio distribuiti in vari livelli formativi e diverse aree di specializzazione. Nel complesso vengono formati 8.244 designer, di cui 3.822 nelle università.
La peculiarità del design italiano è la capacità di creare sinergie con le esigenze produttive dei territori: mentre l’offerta formativa del triennio è sostanzialmente omogenea in tutti gli atenei italiani, i corsi di laurea magistrale offrono invece una marcata specializzazione legata alla vocazione produttiva delle diverse aree geografiche. La regione più attiva nella formazione di designer è la Lombardia, che assorbe da sola quasi il 49,5 per cento del capitale umano uscente dal sistema formativo italiano per il mondo del design. In particolare, Milano si conferma la città italiana del design con 3.675 laureati/diplomati. A seguire Piemonte (9,8 per cento) e Lazio (8,3 per cento) ribadiscono il legame esistente tra la formazione, il design e le esigenze produttive delle regioni, trainate dalle città di Torino e Roma.

L’economia del design ultima modifica: 2021-03-17T10:50:32+00:00 da Francesco Inverso