“Ul desain” ha il suo museo

Secondo Mario Bellini – che, insieme a Stefano Boeri e Joseph Grima, ha presentato il Museo del Design Italiano – “Ul desain” è la traduzione in “lingua brianzola” de il design. Non è casuale il richiamo del designer pluripremiato (per otto volte con il Compasso d’Oro) al mondo produttivo lombardo e, per estensione, italiano.

Durante la press preview del Museo del Design italiano, inaugurato ufficialmente l’8 aprile scorso alla vigilia della cinquantottesima edizione del Salone del Mobile, molto si è parlato della relazione tra le aziende e i designer.

Nel discorso introduttivo Stefano Boeri, presidente della Triennale, ha affermato: “Un carattere essenziale del design, soprattutto in Italia e – in modo ancora più evidente – a Milano, è la profonda alchimia tra le forze in gioco: il design non è mai un processo univoco e unidirezionale, ma sempre un’incessante conversazione tra la dimensione economico-produttiva delle aziende, la dimensione visionaria – di architetti, designer e progettisti – e la dimensione del desiderio e delle necessità da parte della comunità”.

Esposti nell’allestimento permanente (prima tappa di un progetto work in progress di acquisizioni e ampliamenti) circa duecento tra i pezzi più iconici e rappresentativi del design italiano, selezione da un patrimonio di 1.600 oggetti, patrimonio della Triennale di Milano, che descrie il percorso dall’immediato dopoguerra fino ai primi anni Ottanta.

Al di là della dotta dissertazione di Joseph Grima, architetto francese e direttore del museo, sulla scansione cronologica in tre fasi (esordi, anni Sessanta/Ottanta, periodo successivo fino a oggi e che si svilupperà nei prossimi anni), è importante sottolineare il contributo essenziale di imprenditori e artigiani alla definizione del significato stesso di design italiano.

Non guasta ricordare, soprattutto in queste pagine rivolte al mondo della produzione, che un progetto di design non è tale se non si contamina con la creatività sia artigianale che industriale, se non si arricchisce con la profonda conoscenza dei materiali che è propria solo di chi li lavora e  non gode della possibilità di sperimentare, modificare, mettere a punto, anche questa caratteristica peculiare dell’industria.

Joseph Grima, ripercorrendo i diversi cicli progettuali, ha affermato che dal 1990 in avanti è diventato più difficile parlare di design italiano, a causa della crescente contaminazione straniera, sia culturale, sia produttiva: è italiano un prodotto pensato da un architetto italiano e prodotto in Corea o in Francia? È italiano un prodotto immaginato da un designer giapponese o tedesco e realizzato da un’azienda italiana?

Grima ha dato la sua interpretazione “alta”: il “design italiano” è più attitudine e filosofia che territorialità.

In rispettosa contraddizione ci permettiamo di riaffermare che è la “fabbrica”, il luogo di produzione dei manufatti, che genera “l’anima profonda” degli oggetti, quella che li rende attraenti, li fa “usabili” e li fa durare nel tempo, grazie proprio alla sua storia e al suo contesto fisico.

La qualità autentica del design italiano è data anche dalla territorialità produttiva: salvaguardiamo questa valore unico. In particolare nel Museo del Design Italiano. (r.d.c.)

“Ul desain” ha il suo museo ultima modifica: 2019-04-29T17:22:33+00:00 da Luca