Mille usi del legno: il caso Stranger Things

23/12/2025

L’abbiamo aspettata, desiderata e cercata. Tra presunti leak, temuti spoiler e teorie più o meno plausibili. E alla fine è arrivata: Stranger Things 5 è uscita su Netflix. E ce lo siamo divorati in poche ore.
Poche ore che ci hanno fatto nuovamente immergere nelle atmosfere anni ’80, ambientazioni e dettagli che hanno reso la serie un fenomeno globale.
Ma al di là degli elementi narrativi e dell’immaginario fantascientifico c’è un protagonista silenzioso che sostiene l’identità visiva della produzione (e ci ha spinto a trattare questo tema su Xylon, ndr.): il legno. Dagli arredi delle case americane di periferia ai banchi di lavoro, fino ai dettagli materici dei set, il legno diventa il medium attraverso cui si ricostruisce un’epoca e si definisce la credibilità degli ambienti.

E per gli “addetti ai lavori” del settore – dai produttori di tecnologia fino ai designer – Stranger Things mostra come materiali, finiture e stili possano contribuire in modo determinante alla narrazione, e come le scelte progettuali legate al legno siano in grado di evocare cultura, memoria e autenticità. Oggetti e ambienti in cui il legno diventa vero protagonista, dalla tavola da Dungeons & Dragons dei protagonisti alle architetture più iconiche della serie.

IL LEGNO NEGLI USA DEGLI ANNI 80
Ricostruire l’America degli anni ’80 significa obbligatoriamente confrontarsi con un momento in cui il legno era ancora protagonista assoluto della casa e dell’architettura. Prima della diffusione massiva dei laminati “avanzati”, gli ambienti domestici erano dominati da masselli economici, impiallacciati in noce o quercia e pannellature a vista. Le essenze più comuni – pino, quercia, noce – rispondevano a esigenze di disponibilità, costo e lavorabilità che riflettevano un momento storico in cui le tecnologie non avevano ancora raggiunto gli standard di oggi, momenti in cui i cnc non avevano ancora sostituito il controllo manuale, anni in cui l’automazione completa era ancora una chimera.
E in Stranger Things questo patrimonio estetico è un progetto, le scenografie adottano finiture ambrate, boiserie scure, cornici sagomate e superfici a poro aperto che ricreano fedelmente il linguaggio materico dell’epoca. Il legno diventa così una lente temporale, capace di restituire immediatamente allo spettatore la sensazione di trovarsi nella provincia americana degli anni ’80, mentre ogni finitura porta con sé una cultura tecnica.

GLI AMBIENTI IN STRANGER THINGS
Cultura tecnica che si ritrova anche nelle abitazioni dei protagonisti. Ambienti, case, stanze che riflettono segmenti sociali ed estetici molto diversi tra loro, in cui il legno diventa il materiale che li racconta con maggiore precisione.
La casa dei Byers, ad esempio, è costruita (o almeno sembra) attorno a pino più economico, superfici segnate dal tempo e boiserie scure, per un ambiente vissuto, quasi improvvisato, che restituisce immediatamente la dimensione di una famiglia della “working class” americana. Molto diversa è invece la casa degli Wheeler, dove il legno diventa simbolo della middle class a stelle strisce – quella che negli anni ’80 investiva per dare alla casa un aspetto più formale e “completo” – e sembrano comparire dunque impiallacciati in noce ingegnerizzato, finiture più curate e cornici sagomate.


Last but not least, all’estremo opposto rispetto a casa Wheeler possiamo notare la “capanna” di Hopper, dove si rifugia Undici all’inizio della seconda stagione: una struttura decisamente più rustica, tipica dei boschi del Midwest, tra tronchi squadrati, pavimentazioni massicce, arredi essenziali costruiti con materiali decisamente meno ricercati, ma letteralmente “a km zero”. È un’architettura che parla di autosufficienza, isolamento, praticità e che usa il legno nella sua forma più diretta e funzionale.
Non solo, anche gli spazi di transizione – taverne, boathouse o capanna di Will – seguono questa logica: legni grezzi, strutture essenziali, superfici non rifinite, per ricreare luoghi in cui il materiale mostra la sua natura più autentica, con nodi, irregolarità e variazioni che tradiscono un rapporto immediato con il territorio.

DIY: TRA CULTURA E MOTOSEGHE
Ambienti domestici, ma non solo. La serie dedica ampio spazio alla vera e proprio cultura del fai da te e di conseguenze alle falegnamerie domestiche, tipiche della provincia americana (e di ogni idea che abbiamo di essa). Garage e seminterrati mostrano banchi da lavoro in tavole grezze, scaffalature semplici, utensili manuali e macchinari datati ma robusti. È un contesto che racconta più della sceneggiatura, rivelando una cultura del Diy (do it yourself, ndr.) radicata in territori dove il legno è parte dell’ambiente e della vita quotidiana.

E in questo scenario si inserisce un oggetto divenuto e reso iconico dalla serie e dalla cinematografia moderna: la motosega impugnata da Steve Harrington. Da un lato richiama consapevolmente la filmografia horror anni ’80 – da The Evil Dead a The Texas Chainsaw Massacre – dall’altro è perfettamente coerente con un territorio circondato da foreste, dove tagliare, riparare e trasformare il legno è pratica comune e diventa anche attività famigliare, da tramandare nel più classico dei “di padre in figlio”.
Il gesto di Steve, quel ricorrere a un attrezzo e utensili domestici non sono dunque solo “citazionismo pop”, ma la manifestazione di un rapporto diretto con un materiale vivo, di cui la periferia americana ha un’esperienza quotidiana. E Stranger Things lo racconta con naturalezza, senza mitizzare né banalizzare.

GLI OGGETTI E… IL SOTTOSOPRA
Case, libri, auto e – senza fogli di giornale – oggetti. Che cosa sarebbe la serie senza i riferimenti a giochi e oggetti iconici tipici degli anni 80? Da una parte i cabinati, le sale giochi che nascevano e si sviluppavano, creando nuovi centri di aggregazione per le nuove generazioni, dall’altra i giochi di ruolo che mostravano la fantasia degli autori e spingevano verso nuove “scenografie”, come il fantasy. E quale oggetto è più iconico se non la tavola da Dungeons & Dragons attorno alla quale i ragazzi si riuniscono?
È un tavolo semplice, probabilmente costruito in un’essenza economica come pino o quercia, con doghe assemblate e gambe tornite: una tipologia perfettamente compatibile con una falegnameria domestica degli anni ’80. La finitura leggermente usurata, le giunzioni visibili e le variazioni del piano rivelano scelte scenografiche molto precise: non è un oggetto generico, ma un manufatto “vissuto”, credibile dentro un seminterrato suburbano, dove il legno mantiene il suo ruolo naturale di superficie calda, resistente, quotidiana. La scena funziona proprio per questo, perché quel tavolo, pur nella sua semplicità, restituisce autenticità e diventa un piccolo nodo narrativo fatto di materia.

Abbiamo definito iconico il tavolo, ma non possiamo non guardare “l’elefante nella stanza”. Il sottosopra ci chiama, ci chiede di analizzarlo, ci attira. E il legno stesso nel Sottosopra cambia volto, perde ogni riferimento alla sua stabilità originaria e diventa qualcosa di deformato, invaso, alterato. Travature, pannelli e porte si presentano con fibre esposte, superfici degradate e colorazioni fredde. Molti di questi elementi scenografici non sono in legno reale, ma partono da basi leggere – pannelli o tavole sottili – successivamente trattate evidentemente con resine, lattice e pigmenti per imitare un deterioramento organico. Le deformazioni più evidenti, come nodi ingrossati, superfici collassate o forme che ricordano radici, nascono da incisioni profonde e modellazioni manuali, in cui la conoscenza delle reazioni naturali del legno viene reinterpretata in chiave disturbante, per creare quel mondo distopico reso così bene da farci vivere l’angoscia dei protagonisti.
Nel passaggio dal mondo reale al Sottosopra, il legno ribalta quindi il proprio significato: da materiale familiare e affidabile diventa segnale di perturbazione. È una scelta narrativa forte, che mostra come la stessa “grammatica materica” possa raccontare due realtà opposte semplicemente cambiando lavorazioni, trattamenti e texture.

LA FINITURA DELLE SUPERFICI
E questo nostro viaggio non poteva che terminare con l’ultima fase (per “cronologia”, non certo per importanza): la finitura. Per restituire autenticità agli ambienti “reali” i set di Stranger Things si affidano soprattutto al lavoro sulle superfici, con cicli di verniciatura pensati per replicare l’estetica degli anni ’70 e ’80. Le scenografie utilizzano spesso tecniche di distressing, che combinano abrasioni mirate e stratificazioni di colore per ottenere superfici usurate, ma credibili. Le verniciature ingrigite, le patine multistrato e le simulazioni di ossidazione o di scolorimento ricreano l’effetto di anni di utilizzo, luce, umidità e manutenzioni non sempre regolari. Sono trattamenti che richiamano da vicino le pratiche delle falegnamerie dell’epoca, quando prodotti meno uniformi, essiccazioni più lente e cicli applicativi artigianali restituivano un risultato visivo meno perfetto ma molto più caratteristico.
Quando invece la produzione richiede leggerezza, sicurezza o la possibilità di intervenire rapidamente tra una scena e l’altra, il legno viene sostituito da materiali scenografici scolpiti o fresati per imitare venature e nodi – poliuretano, schiume ad alta densità, pannelli plastici – su cui vengono applicati cicli di verniciatura complessi, capaci di replicare la profondità ottica del legno vero. Anche in questi casi, il realismo non dipende tanto dal materiale grezzo, quanto dalla competenza con cui si modulano trasparenze, satinature, pigmenti e opacità.
E il risultato finale nasce dall’ibridazione, dalla scelta di puntare sul legno, ma con un approccio “multimateriale”, parola che i nostri produttori di tecnologia conoscono molto bene. La conoscenza delle reazioni del legno reale alle vernici permette dunque di riprodurlo fedelmente, ma consente anche di “tradire” il materiale quando la narrazione lo richiede, come nel Sottosopra. Qui le stesse tecniche vengono spinte all’estremo, trasformando la verniciatura in un linguaggio visivo capace di suggerire deterioramento, alterazione e disturbo.

Il legno, dunque, non è mai soltanto legno. Nemmeno in una serie televisiva. È il racconto di una quotidianità, di un’epoca, di un modo di abitare e di immaginare il futuro. È materia che parla, che si trasforma e che permette alla storia di trasformarsi con lei. E – per citare Nancy Wheeler – “… la verità sta nei dettagli”.
Dalla sceneggiatura alle superfici, dalle scelte narrative alle finiture: è proprio nei dettagli che Stranger Things trova la sua credibilità. E che il legno, ancora una volta, diventa protagonista.

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