Emc, costruire buone levigatrici immaginando le sfide future…

Ivano Coveri, contitolare della Emc di Imola, ci aiuta a conoscere meglio questa realtà capace di fare innovazione e di proporre macchine “adeguate” alla domanda, qualunque essa sia. Anche nel metallo…

Ultimi giorni di settembre. È una bella giornata. Il sole è caldo. La mascherina è un fastidio ma la “seconda ondata” non è ancora arrivata e quasi non ci si pensa, tantomeno si immagina che quello che pare appena finito stia per ricominciare…
A Imola sembra estate e non ci dispiace entrare al fresco dei capannoni della Emc, realtà conosciutissima nel mondo della levigatura, per fare quattro chiacchiere con Ivano Coveri, socio e amministratore delegato, che di solito incrociamo di tutta fretta nei corridoi di qualche fiera… bei tempi!
Una visita che gli avevamo promesso da tempo, anche se ci sarebbe piaciuto poter parlare di altro e non partire proprio da questo maledetto 2020.

Ivano Coveri

“All’improvviso ci siamo ritrovati in un incubo con il timore che non potesse avere una fine”, ci racconta Enrico Coveri. “Che la situazione fosse grave lo abbiamo capito presto e non passava giorno che non ci interrogassimo, preoccupati, su coda sarebbe successo, se avremmo potuto continuare a produrre, a promuovere le nostre macchine, a fare fiere. Le risposte sono quelle che poi abbiamo tutti imparato a conoscere, mentre il mondo che conoscevamo ci crollava attorno.
Le prime settimane, marzo è stato terribile, ma non ci è voluto molto per capire che non sarebbe stata una cosa semplice da risolvere e che dovevamo assolutamente capire come conviverci, come continuare. Dovevamo riprendere in mano le redini e mantenere vivi i contatti con i nostri clienti, alcuni dei quali stavano pensando se disdire gli ordini, posticiparli o come risolvere la questione dei collaudi, delle installazioni…
Ci siamo subito mossi per consolidare la nostra posizione finanziaria, garantendoci le risorse per poter continuare a investire. Questo ci ha ridato una certa tranquillità e la possibilità di continuare a lavorare con serenità, nonostante registrassimo un calo degli ordini importante, nell’ordine del 20, 25 per cento.
Abbiamo tenuto duro, abbiamo tutti “consumato le ferie”, come si dice, che ancora avevamo a disposizione; per qualche settimana abbiamo fatto ricorso alla cassa integrazione… insomma, come tutte le imprese italiane abbiamo deciso di tenere duro, utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione.
Tenga presente che proprio in quelle settimane stavamo ultimando il nostro nuovo show-room, costruendo le macchine che avevamo deciso di esporvi, dunque con un impegno economico e di energie importante per una realtà di piccole dimensioni come la nostra.
Lo ripeto: abbiamo tenuto duro e, fortunatamente, le cose hanno iniziato a cambiare, perché tutti – non solo in Emc – ci si è resi conto che non dovevamo commettere l’errore di arrenderci, di fermarci. Siamo ripartiti, con calma, ma abbiamo invertito la rotta, facendo tutto quanto in nostro potere per coinvolgere i nostri clienti, riaprire commesse rimaste in sospeso, portare a casa nuovi contratti”.

Perché già a fine maggio, e soprattutto nei mesi successivi, la “ripartenza” c’è stata…
“Indubbiamente, anche se non possiamo certo parlare di una autentica esplosione. Da quanto abbiamo potuto constatare, direttamente o indirettamente, la domanda di mobili e arredi è stata molto forte, per i motivi che è facile immaginare. Tutta la domanda di ciò che entra in una casa, che contribuisce a rendere più confortevole lo spazio domestico è aumentata in modo significativo, permettendoci un importante recupero che ci fa pensare di poter chiudere l’anno con risultati migliori di quelli che temevamo”.

I quattro soci di Emc. Da sinistra: Alberto Stagni, Giulio e Lorenzo Baraccani e in primo piano Ivano Coveri.

Ma avete la sensazione che ci siano stati o ci siano mercati che hanno reagito meglio o più prontamente?
“In termini generali posso dirle che i mercati che si sono dimostrati più forti sono certamente in Europa. Lavorare all’estero è indubbiamente molto difficile, se non impossibile, perché il divieto di viaggiare hanno di fatto troncato la nostra attività diretta verso il Sud America, gli Stati Uniti, il Medio Oriente, il mondo intero. Non potendo mandare le nostre squadre di montatori dobbiamo cercare di ovviare con i tecnici dei nostri rappresentanti, ma è evidente che tutto questo non può non influire sul risultato: nei mercati più lontani, dove c’è bisogno di tecnologia e di tecnici, i rapporti si sono “allungati”, per non dire fermati.
Ecco, credo che proprio su questi argomenti si possa trovare la prima lezione che il “Covid-19” sul fronte economico, dimostrandoci quanto sia necessario che le aziende abbiano una struttura più solida, che possano contare su reti più forti, su un network tecnico-commerciale più grande. È indubbio che se avessimo avuto filiali in ogni Paese del mondo avremmo sofferto molto, molto meno, ma come può una azienda che non sia di grandi dimensioni permettersi una tale organizzazione?”.

Signor Coveri, eccoci ancora una volta di fronte al grande dilemma: perché le imprese italiane fanno così fatica a “fare squadra”?
“Non è una strada facile, per quanto forse sempre più obbligata. Secondo me l’unica strada è una holding che detenga la proprietà di quelle piccole e medie aziende che intendono collaborare, perché se non c’è unità a livello di proprietà difficile gestire la cosa… e mi pare che questa sia una lingua che pochissimi imprenditori italiani capiscono o vogliono parlare.
Oggi ci sono più elementi che indicano con chiarezza che questa è la strada da percorrere: per quanto ci riguarda io e i miei soci saremmo disponibili a vivere una tale esperienza, ma non mi pare un percorso facile da realizzare. Dovremmo costruire “un gruppo fuori dai gruppi”, una convergenza fra imprese che – offrendo tecnologie complementari ­– possano dare vita a un progetto di sana collaborazione, fondato su una proprietà unica, per quanto partecipata. Mi pare che le esperienze del passato ci hanno dimostrato che forme consortili, di partnership non sono durate molto…
Siamo in uno scenario in cui i grandi gruppi mondiali egemonizzano il mercato e per trovare spazi di crescita, che non siano le nicchie di ciascuno, c’è bisogno di ben altre armi, di manager che sappiano coordinare e gestire unità produttive diverse….

“Noi siamo quella che nel nostro settore potrebbe essere definita una “media azienda”, con una quarantina di dipendenti, un fatturato attorno ai 7 milioni e una esportazione pari al 90 per cento del nostro fatturato”, prosegue Coveri. “Siamo comunque capaci di vincere premi per la nostra capacità di fare innovazione, abbiamo progettato e costruito una levigatrice di grandi dimensioni e con capacità di altissimo livello, con soluzioni brevettate a livello mondiale. Proprio nelle settimane di lockdown abbiamo venduto una “Giant 2200” in Turchia, una macchina con una larghezza utile di ben 2.200 millimetri, il doppio del nostro standard, che è pienamente operativa con grande soddisfazione del nostro cliente, che ora può levigare senza problemi le porte che produce seguendo la venatura orizzontale. È una levigatrice classica, con tamponi elettronici e un grande rullo da 400 millimetri di diametro, dimostrando che le spazzole sono indubbiamente un’ottima soluzione, ma quando si vogliono ottenere determinati risultati il nastro abrasivo non ha rivali.
Vede? Nonostante tutto, nonostante le nostre dimensioni limitate, la pandemia, le difficoltà continuiamo ad andare avanti, a proporre soluzioni intelligenti, a dimostrare i nostri valori.
Non ci si può fossilizzare: bisogna anzi premere l’acceleratore delle idee, della innovazione, di quelle soluzioni che risvegliano l’attenzione del cliente, perché può avere qualcosa in più.
Ci sono due tipi di clienti: quelli che hanno esigenze “classiche”, che decidono di sostituire una macchina quando è vecchia e comincia a perdere i colpi. A loro interesse fare un certo lavoro e vogliono una soluzione di buona qualità al prezzo più basso possibile. Ci sono però clienti che, invece, hanno esigenze importanti, che devono garantire finiture migliori per dare una qualità migliore o, magari, per risolvere un problema particolare, sempre con la massima attenzione ai costi che – mi lasci dire dire – per la maggior parte sono costituiti dalle vernici, dalle carte abrasive, dai consumi energetici. E allora posso dirle che con la nostra “Plano” riusciamo, con una sola carta, a ottenere lo stesso risultato che su altre macchine richiedono sette, otto carte diverse. Dunque si risparmia sugli abrasivi, sui tempi di cambio carta, si consuma meno energia”.

Senza dimenticare che da qualche tempo vi siete impegnati anche nel metallo…
“Grazie per averlo ricordato: abbiamo voluto diversificare la nostra produzione e niente ci è parso più naturale del progettare e produrre levigatrici per il metallo. Abbiamo creato una struttura commerciale da hoc e in soli due anni rappresentano circa un quarto del nostro fatturato. Sono macchine interessanti, con una tecnologia meno sofisticata rispetto a quella richiesta nel mondo del legno per la natura stessa dei materiali da trattare. Ci sentiamo a nostro agio in questo segmento e siamo convinti di poter fare ancora meglio. Un’altra direzione nella quale stiamo spingendo da tempo è un sempre più significativo ricorso alle spazzole, grazie alle quali è possibile fare molte delle lavorazioni che tradizionalmente dovevano essere fatte a mano: con i nostri sistemi riusciamo a ridurre di circa la metà la manodopera necessaria per ottenere levigature eccellenti”.

E domani?
“Il futuro sarà ancor più sfidante. Come le ho già detto crediamo che per affrontare mercati sempre più grandi sia indispensabile avere le necessarie energie. Per noi questo significa impegnarci in collaborazioni importanti, con aziende e gruppi ben più grandi di noi. Forse basterebbe comprendere che il successo passa dall’accettare di essere magari un poco meno “marchio” e più costruttori, producendo macchine che altri proporranno al mondo intero, a clienti che noi non potremmo mai raggiungere grazie a reti commerciali ben più grandi e radicate.
Questo non significa perdere le proprie peculiarità. Al contrario: significa essere sempre degli specialisti, conosciuti e apprezzati per quello che si è capaci di fare e che magari si fa meglio di molti altri!
Per quanto riguarda il prodotto finito, levigato, ci troviamo di fronte a un bivio: da una parte mobili, porte scale di altissima qualità e con una finitura eccezionale, dall’altra prodotti che si collocano in una fascia media o medio-bassa. I primi hanno bisogno di una tecnologia estrema e di macchine molto ben congegnate, per gli altri vanno benissimo macchine robusti, affidabili, che facciano il loro lavoro. Dovremo continuare a muoverci far questi estremi, proponendo da un lato soluzioni sartoriali, con prestazioni assolute; dall’altro buone, oneste levigatrici che aiutino a ottenere una qualità ottimale con il giusto investimento… ”.

A cura di Luca Rossetti

Emc, costruire buone levigatrici immaginando le sfide future… ultima modifica: 2021-03-01T07:00:43+00:00 da Francesco Inverso