Ci sono situazioni, idee, invenzioni che viene da chiedersi perchè non siano più e meglio conosciute. E questo accade forse ancora di più nel mondo del legno, delle foreste, dei boschi, dove riuscire a fare chiarezza, a creare collaborazioni e nuovi modi di gestire questa grande ricchezza non è mai semplice…
Per fortuna ci sono persone come Stefano Berti, che abbiamo avuto il dono di conoscere molti anni fa, certamente da annoverare fra quanti hanno speso e spenderanno ancora a lungo la propria vita per fare in modo che il legno e tutto ciò che vi ruota attorno sia studiato, conosciuto e riconosciuto come merita. E non è un caso che fra le tante cose che ci ha raccontato nella sede di “ShowWood” – una splendida costruzione in legno che è la sede operativa della associazione di cui è presidente in quel di Rufina, la sede legale si trova a Londa, entrambe a una manciata di chilometri da Firenze – abbia sottolineato con un pizzico di malinconia che “… ci stiamo dimenticando che il legno, i boschi, le foreste sono state e spesso sono ancora il punto di partenza della vita, della storia delle popolazioni in ogni angolo del mondo. Una risorsa di tutti, l’unica disponibile gratuitamente per ognuno. Ce ne siamo dimenticati e oggi si grida allo scandalo se qualcuno taglia una pianta, dimenticandoci come vivevano i nostri nonni, come si scaldavano, come cucinavano… senza tralasciare che spesso erano proprio i boschi a offrire un contributo alimentare insostituibile: le castagne sono un alimento che ha nutrito intere generazioni, quando e dove spesso non c’era nient’altro da mangiare!”.
Una storia, un patrimonio, una cultura a cui guardare da molti punti di vista. Esattamente come si dovrebbe fare con la affascinante iniziativa della associazione Foresta Modello delle Montagne Fiorentine, esperienza di cui – come abbiamo accennato – Berti è l’attuale presidente e che prende vita nel 2009, quando la Regione Toscana aderisce alla Rete Internazionale delle Foreste Modello firmando un memorandum per diventarne parte attiva.
“Una idea che nasce in Canada negli anni Novanta – ci racconta Stefano Berti – proprio per cercare modalità nuove per utilizzare le risorse forestali, allontanando il più possibile la logica dello sfruttamento portato avanti dalle grandi compagnie a discapito di tutte le realtà sociali e locali, troppo spesso assolutamente ignorate. Territori che venivano in pratica depredati, dove rimaneva poco se non attriti sociali, ambientali ed economici molto forti, situazioni molto distanti dal concetto di sostenibilità. Ebbene, è in questo scenario che nasce lo strumento delle foreste modello, oggi presenti in 37 Paesi del mondo. Una organizzazione per “regioni” – Nordamerica, Sudamerica, Mediterraneo, Africa, Asia e Nordeuropa – ciascuna delle quali coordinata da un segretariato che fa capo alla sede centrale in Canada. Nella nostra “Regione mediterranea” sono attualmente censite sette foreste modello, tra cui la nostra esperienza in Toscana ,due “foreste candidate”, una in Spagna e l’altra nella Media valle dell’Aterno, in Abruzzo, che sta per essere riconosciuta e tre “foreste iniziative” che hanno iniziato il percorso per essere ammesse alla rete internazionale”.
Dottor Berti, ci aiuti a capire quali sono le finalità…
“Le foreste modello sono uno strumento per unire realtà che hanno come scopo la conservazione e la gestione virtuosa dell’ambiente con altre che ricercano obbiettivi economici-produttivi, permettendo al bosco, alle foreste e all’intero territorio di esprimersi in tutta la loro ricchezza. Come? Semplicemente creando opportunità di confronto e di dialogo fra gli aspetti “ecosistemici” e conservativi con le opportunità economiche, piuttosto che turistico-ricreative. Il tutto, sempre e comunque, nell’ambito di una effettiva sostenibilità.
Il bosco ha sempre interagito con l’uomo, non solo nel fornire quella splendida materia prima che è il legno, ma anche frutti, prodotti del sottobosco e – perché no – componenti emozionali, di piacevolezza, dello “stare bene”: pensi che una delle attività che come foreste modello stiamo portando avanti con grande convinzione è proprio il valore del bosco per scopi terapeutici.
E non mi riferisco solo al “forest-bathing”, all’immergersi nell’ambiente forestale che in Giappone, ad esempio, è consuetudine da secoli e i cui benefici sono scientificamente riconosciuti, ma ad aspetti terapeutici veri e propri, con risultati benefici per la cura di problemi fisiologici e psichici per i qualii ci sono precise evidenze scientifiche, al centro di un protocollo che seguiamo e che è stato messo a punto dal Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano e dal l CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche interessando ancheil Servizio Sanitario Nazionale. Le piante emettono sostanze benefiche per il nostro organismo, emissioni che cambiano a seconda della specie legnosa, le cui quantità variano di stagione in stagione, oserei dire di ora in ora, e che vengono misurate e valutate su basi scientifiche.
Per non parlare delle sostanze naturali di cui boschi e foreste sono ricche e che sono alla base di una farmacopea che non si limita alle consuetudini degli anziani o di chi viveva in determinati territori…”.
Chi sono gli attori della foresta modello fiorentina?
“Stiamo parlando di un territorio di 548 chilometri quadrati, corrispondente a quello dell’Unione di Comuni Valdarno e Valdisieve, ente che ha sposato e supportato la nascita della Foresta Modello, costituita da sei comuni che contano 64mila abitanti, con una superficie boschiva e forestale di oltre 38mila ettari, di cui l’85 per cento di proprietà privata. Una “proprietà diffusa” che è indubbiamente fra le ragioni per cui questa iniziativa ha preso vita, per condividere principi e modalità, per poter lavorare insieme e avviare percorsi virtuosi di gestione e utilizzo commerciale della risorsa legno. La foresta modello, che ricordo essere un “Ente del terzo settore”, pubblico-privato a partecipazione volontaria e a cui ci piacerebbe aderissero tutti i proprietari privati, è di fatto un luogo dove si condividono necessità ma anche soluzioni, creando aggregazioni e magari associazioni di imprese che permettano di tagliare, lavorare, trasformare il legno, magari utilizzando il marchio territoriale registrato della nostra associazione; lavorazioni – lo ribadisco – virtuose, sostenibili da ogni punto di vista, per costruire un patrimonio che sia a beneficio di tutti.
Un territorio nel quale, non dimentichiamolo, operano aziende agricole che producono vino, olio, miele e molti altri prodotti della terra, in un vero e proprio ecosistema integrato”.
Verrebbe da chiedersi perchè non diventi un modello per tutto il patrimonio forestale nazionale e internazionale…
“Cosa vuole che dica: noi perseguiamo obbiettivi che vogliono conciliare aspetti economici, più “privati”, con la gestione di un patrimonio estetico-terapeutico disponibile per tutti. Purtroppo il mondo parla di ambiente ma preferisce inseguire le regole dell’economia o forse sarebbe meglio dire del mero guadagno… e le foreste restano sempre un bene dimenticato: si dice che in Italia ci siano risorse tali da renderci quasi indipendenti sul fronte del fabbisogno di legno, senza intaccare l’ecosistema, eppure nessuno si muove per mille problemi, dalla enorme frammentazione della proprietà fino alle indispensabili cure di cui boschi e foreste dovrebbero essere oggetto. Unire i soggetti, coordinare il lavoro delle persone e delle comunità significa portare tutto questo in una dimensione più gestibile probabilmente remunerativa, sicuramente sostenibile, andando concretamente oltre quelle operazioni di “greenwashing” che ci troviamo davanti ogni giorno!
Non basta piantare alberi: si deve fare in modo che ci sia sempre un progetto, una valutazione, una conoscenza, una competenza e uno sguardo di insieme al territorio e alle persone che in quegli ambiti organizzano e trascorrono la propria vita. In Marocco, giusto per citarle un esempio, grazie alla Rete Mediterranea delle Foreste Modello, stiamo partecipando a una serie di progetti di recupero della superficie boschiva che permetterà di riqualificare interi territori anche come contributo al contrasto della crisi climatica. Da noi in Toscana, un altro esempio: avendo verificato che la gran quantità di alberi di douglasia presenti offre ottime opportunità per quanto concerne il legno strutturale, in collaborazione con la Microtech di Bressanone e il nostro socio CNR IBE, è stata messa a punto una macchina classificatrice portatile che permette di verificare l’idoneità dei vari assortimenti per questo severo impiego.
Uno strumento davvero duttile, testato e vidimato in ambito europeo, rispondente alle normative di settore che permette ora alle piccole segherie del territorio di essere portatrici di precisi valori tecnici ed economici in questo contesto, cosa che singolarmente non avrebbero mai potuto fare date le ridotte dimensioni aziendali… una tecnologia che si è rivelata fra l’altro valida anche per la classificazione a macchina delle latifoglie, ma della quale per qualche motivo si parla ancora molto poco…”.
Una realtà stupefacente da molti punti di vista…
“Assolutamente, anche se è molto difficile farne qualcosa di più ampio e riconosciuto, per quanto sia una esperienza perfettamente in linea con i principi e le fondamenta del Testo unico in materia di foreste e filiere forestali, il decreto legislativo del 2018 che rappresenta la nuova Legge Quadro nazionale in materia di selvicoltura e filiere forestali. Si parla di sostenibilità attraverso l’aggregazione al fine di tutelare e utilizzare le risorse, eppure le difficoltà per definire modelli virtuosi non mancano in un Paese nel quale – non dimentichiamolo – la superficie “a legno” è circa il 40 per cento del territorio nazionale!
Mi piace dire che stiamo cercando di vivere un sogno, per quanto concreto, e che tutte le difficoltà che incontriamo sono solo il contrappasso per poter sperimentare i valori di una esperienza così forte e coinvolgente.
Vede, siamo assolutamente consapevoli che stiamo facendo qualcosa di totalmente rivoluzionario non solo a livello nazionale, ma addirittura mondiale. La nostra rete sta dimostrando a livello planetario quanto questo approccio possa essere una delle possibili soluzioni per la gestione delle foreste in futuro: non credo riusciremo a salvare il mondo, ma certamente potremmo essere un contributo alla soluzione di certi problemi a livello almeno locale, regionale.
Dovremo lavorare molto a livello di educazione, di comunicazione, di informazione, senza fermarci agli spot televisivi che, per quanto d’impatto, alla fine non generano nulla. Stiamo puntando molto sulla educazione ambientale nelle scuole e per gli insegnanti, perchè solo creando una coscienza, una consapevolezza comune riteniamo si possano gestire esperienze locali così significative: non ci si può riempire la bocca di parole; non si può parlare di sostenibilità pensando che basti questo a risolvere il problema. Dobbiamo mostrare cosa c’è dietro, le storie che possiamo raccontare e che – per quanto complesse e complicate – possono diventare strumenti per generare occupazione, qualità della vita e dell’ambiente, condivisione dei valori, rispetto e… un futuro sostenibile. Tutte parole che non saranno più semplici slogan, ma i termini per raccontare una grande, promettente esperienza…”.